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Napoli e il Lotto

Napoli, città da sempre legata alle superstizioni, alla magia e ai numeri, considera il gioco del lotto una vera e propria filosofia di vita. Non esiste al mondo un’altra città dove un gioco d’azzardo sia entrato così in profondità nella cultura, nelle tradizioni e nei costumi del suo popolo. Napoli è considerata la capitale del lotto, forse a causa del fatalismo del popolo napoletano, forse perché nella cultura partenopea troviamo un mondo parallelo fatto di credenze e misteri, di personaggi più o meno curiosi, di miseria e speranza; dove sacro e profano si confondono tra loro, così come la realtà e la fantasia. A Napoli il gioco del lotto ha sempre avuto schiere infinite di adepti di ogni estrazione sociale.
I napoletani credono tanto ciecamente che ogni cosa abbia un riferimento nel lotto, che nel XVII secolo, quando il gioco prese piede, il governo era costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati, per non rischiare il fallimento delle casse dello Stato.

A Napoli ogni evento particolare, ogni notizia inaspettata, bella o brutta che sia, viene immediatamente tradotta in numeri che vengono rispettosamente e meticolosamente giocati.

Il lotto a Napoli arrivò con un secolo di ritardo rispetto a Genova, e come questo fu inizialmente chiamato Seminario di Napoli, ma ben presto cambiò il suo nome in Nuovo lotto di Napoli.
La Prima estrazione avvenne nel 1682. Il lotto a Napoli ebbe un’evoluzione lenta e disordinata: all’inizio le prime estrazioni avevano cadenza annuale, successivamente si passò alle due o tre estrazioni l’anno. Il gioco negli anni fu molte volte abolito e poi ristabilito definitivamente nel 1737. La gestione del gioco fu effettuata con il sistema dell’appalto fino al 1798, per poi passare sotto la giurisdizione di un’amministrazione speciale.
Nel 1804 le estrazioni erano 24 l’anno e pochi anni dopo fu istituita (durante la dominazione francese) una regia competente affidata all’imprenditore Carlo Emanuele Guebard di Soletta, per la durata di sei anni.
Il gioco passò poi nuovamente in mani pubbliche e nel 1817 le estrazioni diventarono cinquanta.
Nacquero i primi ricevitori, chiamati “prenditori” o “postieri” e le ricevitorie  o botteghini nel 1843 erano già mille, distribuiti in tutto il regno esclusa la Sicilia.
Le estrazioni si svolgevano a Napoli con grande maestosità, in una sala appositamente addobbata, nel palazzo del Vicaria, dove avevano sede i tribunali.

Il gioco del lotto è stato duramente condannato da molti scrittori per lo più di origine partenopea, specie dalla scrittrice e giornalista Matilde Serao (1856-1927), che pur essendo nata in Grecia, aveva  origini napoletane da parte di padre. Nel suo capolavoro Il paese di cuccagna (1891), da grande osservatrice della cultura partenopea, la Serao esamina tutti i mali morali, sociali, economici e psicologici che il gioco del lotto ha fatto scaturire nella società napoletana. “Esso più che arricchire un povero uomo in beni materiali, finisce col fargli perdere tutto ciò che possiede, poiché egli sfidando la propria sorte e sperando di essere sostenuto dalla Dea Bendata per una eventuale vincita, punta tutti i suoi beni in assurde scommesse”. La scrittrice aveva già trattato questo argomento n una sua precedente opera  “ Il ventre di Napoli” (1884), dove dedica due capitoli al gioco del lotto “Il lotto è il largo sogno, che consola la fantasia napoletana: è l’idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si prende le anime. Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l’acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l’acquavite di Napoli.”

Effettivamente il popolo partenopeo vede il gioco del lotto come  una fabbrica dei sogni: nei momenti di difficoltà economica il giocatore spera che con una vincita al lotto, la propria vita possa migliorare o addirittura cambiare rotta completamente.

Nel 1861 perfino Giuseppe Garibaldi decise l’abolizione del gioco del lotto con un decreto: ne scaturì quasi una sommossa popolare e l’ordine non fu mai eseguito!

I napoletani hanno creato un vero e proprio “culto” del lotto, con una sua fisionomia e una vera e propria sceneggiatura. Nel corso degli anni, anche sulla base di credenze del passato, i napoletani hanno creato tutta una serie di figure e personaggi, ai quali sono stati attribuiti poteri più o meno magici. I più “potenti” tra questi sono senz’altro i defunti: sono loro a dare in sogno ai propri cari, rimasti sulla terra, i numeri vincenti da giocare. Un’altra figura tipica del lotto napoletano è quella del Femminiello (l’omosessuale), che è di buon auspicio, perché carico di una valenza magica, secondo un retaggio di tradizioni popolari per cui i diversi sono detentori di poteri sovrannaturali.

Altro personaggio tipico del lotto partenopeo è lo scartellato, cioè l’uomo affetto da una gobba posteriore, che in napoletano è detta appunto –scartiello-. Ci sono poi gli “assistiti”, personaggi quasi mistici  che hanno il dono di predire i numeri vincenti perché in comunicazione con le anime del purgatorio.

Il popolo partenopeo ricorre frequentemente alla smorfia o alla cabala del lotto, per interpretare i sogni, gli eventi più vari o le lettere dell’alfabeto, a cui vengono assegnati uno o più significati numerici, da cui poi si ricavano i numeri corrispondenti da giocare al lotto. Il libro della Smorfia (parola che deriva probabilmente da Morfeo, il Dio del sogno) spiega i sogni e indica tutti i numeri che corrispondono a personaggi e avvenimenti della vita quotidiana. Ogni napoletano considera la smorfia una chiave, per tradurre sogni o eventi in numeri da giocare al lotto.
L’apparente banalità di quel volume riassume invece, in modo articolato e completo, le diverse tradizioni confluite nel gioco: quella orale, che collega i numeri ai fatti della vita quotidiana, e quella colta ed esoterica che, per indovinare i numeri, usa la cabala.

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