leggiamo le carte da generazioni...

La Janara

La figura della Janara appartiene al patrimonio folkloristico Gallese. Gli scritti di esponenti della cultura clericale, dal Medioevo in poi, hanno permesso di stabilire le sue caratteristiche: la Janara si differenzia dalla strega, quale figura letteraria confezionata, già in età classica, per caratteristiche   configurate in un repertorio ben consolidato. Il materiale di provenienza è vario: racconti popolari, superstizioni locali, mitologia classica, ebraica, nordica, inchieste giudiziarie, verbali di processi. Tutte queste fonti  portano alla codificazione, accreditata dall’autorevolezza degli scrittori, della figura della strega secondo una tipologia precisa.

Le Janare sono figure caratteristiche della civiltà contadina, nella tradizione esse erano fattucchiere in grado di compiere malefici ed incantesimi, di preparare filtri magici e pozioni, perfino di procurare aborti. La loro identità era sconosciuta: di giorno potevano condurre un’ esistenza tranquilla e insospettabile, ma di notte, dopo essersi cosparse le ascelle, o il petto, di un unguento magico, esse avevano la capacità di spiccare il volo lanciandosi nel vuoto a cavallo di una granata, cioè una scopa costruita con saggina essiccata. Nell’immaginario popolare delle genti dei borghi, la Janara di notte entrava nelle stalle a rubare asini o cavalli (o altri animali), riportandoli, all’alba, sfiancati, sudati e con le criniere intrecciate. Poteva entrare nelle case, trasformandosi in  vento e passando sotto le finestre.

Il nome potrebbe derivare da Dianara, ossia “sacerdotessa di Diana”, in riferimento ai voli notturni sui campi che anticamente venivano fatti dalle seguaci di Diana, dea della Terra e della caccia, allo scopo di assicurare e propiziare i raccolti. Un’altra derivazione, secondo me molto più probabile e attinente, è quella dal latino “ianua”, porta, in quanto la Janara, intendendo introdursi nelle case delle persone a cui voleva fare del male, è insidiatrice delle porte. Era appunto dinanzi alla porta, che, secondo la tradizione, era necessario collocare una scopa, oppure un sacchetto con grani di sale: la strega, intenta a contare i fili della scopa, o i grani di sale, avrebbe indugiato fino al sorgere del sole, che l’avrebbe allontanata. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti, hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della Janara; i grani di sale sono portatori di vita, infatti un’antica etimologia connette la parola “sal” (sale) con Salus (la dea della salute).

In Italia la figura della Janara arrivò nel periodo dell’invasione dei Longobardi.  Il popolo barbaro, anche se ufficialmente convertito al Cristianesimo, in pratica continuava a seguire i propri idoli e
in particolare, una divinità dalle fattezze di Vipera. A Benevento, il luogo scelto per le preghiere e i rituali, era un albero, un antico noce.  La chiesa locale non poteva però accettare che tutto questo si svolgesse sotto i suoi occhi e, approfittando di una delle periodiche guerre tra Longobardi e Bizantini, il vescovo di quel  periodo, San Barbato (VII sec.), fece tagliare il Noce di Benevento. Secondo le leggende quell’albero sarebbe ricresciuto diverse volte nello stesso punto nel corso dei secoli e, sempre secondo le stesse leggende, quello sarebbe diventato uno dei punti preferiti dei sabba delle Janare. Le streghe beneventane si riunivano sotto questo immenso albero di noce, lungo le sponde del fiume Sabato, e qui tenevano i loro sabba, in cui veneravano il demonio sotto forma di cane o caprone. Esistono tante varianti di questa leggenda, variano da provincia a provincia, da paesino a paesino, addirittura, in alcuni casi, da famiglia a famiglia.
Le storie che si raccontano a Benevento presentano delle differenze rispetto a quelle che si raccontano ad Avellino, Napoli o Caserta, città in cui, ad esempio, dominava un’altra figura, diversa  ma per certi versi sovrapponibile: la Maciara, colei che fa il malocchio, che “affascina” e  manipola.
Queste differenze sono motivate dalle diverse tradizioni  orali che nascono non si sa quando precisamente, ma che sicuramente arrivano fino agli anni Sessanta \ Settanta del secolo scorso. Quello che riusciva meglio alle Janare era forzare le porte delle case, atto che simbolicamente rievoca il tabù della caduta delle false sicurezze, della  minaccia all’interno del  privato.

La figura della Janara, legata al culto magico della terra, era sempre un’esperta di erbe medicamentose e sapeva riconoscere anche quelle con poteri narcolettici oppure stupefacenti, che usava nelle sue pratiche magiche, come la composizione dell’unguento che le permetteva di diventare incorporea, con la stessa natura del vento. Poteva comandare gli eventi atmosferici e arrecare danno all’uomo: come tutte le creature sovrannaturali dotate di conoscenze magiche, la Janara ha carattere ambivalente, positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie, ma sa anche scatenare tempeste e malefici. Nella cultura popolare la Janara non si associa  al diavolo, non ha valenze religiose, ma soltanto magiche, è in grado di nuocere agli umani, ma non ha quei legami con il diavolo che le attribuiscono gli uomini di Chiesa. La tradizione vuole che chi nasce la notte di Natale sia predisposto a trasformarsi, se uomo in lupo mannaro, se donna in una Janara.
A differenza delle altre streghe, la Janara era di natura solitaria e anche nella vita di tutti i giorni, aveva un carattere aggressivo e spigoloso. Nella tradizione popolare,  per poterla acciuffare, bisognava afferrarla per i capelli, il suo punto debole. Si diceva anche che chi fosse riuscito a catturare la Janara quando essa era incorporea, in cambio della libertà avrebbe goduto della sua protezione, insieme alla sua famiglia, per sette generazioni. Si attribuiva alle Janare anche la strana e spiacevole sensazione di soffocamento, che a volte si prova durante il sonno, si pensava infatti che fosse colpa della Janara, che si divertiva a saltare sulle persone cercando di soffocarle,  cosa che si diceva accadesse soprattutto ai giovani uomini.

Se accadeva che dei bambini manifestassero improvvisamente delle deformazioni nel fisico, si credeva che la Janara, di notte,  lo avesse trapassato con il treppiede che si usava nel focolare per sostenere il calderone.

I rituali delle Janare, i Sabba, si svolgevano solitamente intorno al noce più vecchio, vicino al fiume Sabato, alle porte di Benevento. Questi riti si eseguivano con salmi recitati in una lingua incomprensibile e girando intorno al noce ai cui rami era appesa la pelle di un caprone, che veniva battuta ripetutamente con dei bastoni ad ogni giro. Un rito pagano non apprezzato dai Cristiani e mai compreso, perchè il caprone nella Bibbia simboleggia il demonio. Dopo i girotondi, le Janare si alzavano tutte in volo cavalcando la propria scopa, tenendo il manico rivolto all’indietro.

Secondo una credenza antica, se una famiglia sospettava di essere visitata di notte da una Janara,  poteva scoprirla rivolgendole, durante la notte, la frase magica: “Janà, vie’ pe’ sale” (ossia “Janara vieni per sale”). Al mattino, inevitabilmente, la donna che di notte era la Janara, si sarebbe presentata per chiedere del sale.
Un altro modo per scoprire una Janara, è quello di mettere una scopa dietro la porta della Chiesa, durante la Messa della notte di Natale. Terminata la funzione, mentre tutti potevano liberamente uscire e tornarsene a casa, la Janara restava a contare i fili della scopa, mania per cui andava pazza.
La Janara, prima di morire, era destinata a sopportare una lunga e dolorosa agonia: la sofferenza durava finchè non avesse trovato una persona disposta ad accettare l’eredità della sua arte.

Questo insieme di credenze fu elaborato nel corso dei secoli, dall’incipit che diede il “Malleus Maleficarum” (1669 ) scritto dai frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer: si tratta di un manuale per il perfetto inquisitore, che insegnava come riconoscere, interrogare e torturare una strega, oltre che i sistemi per sventare le numerose malizie di cui era capace  questa serva del demonio.

Nella zona del Beneventano hanno vissuto e operato alcune tra le streghe più famose del mondo: Violante da Pontecorvo, la Maga Menandra, che abitava nella zona conosciuta oggi come Grotta Menarda, o la Maga Alcina di cui parla anche l’Ariosto, che viveva a circa quattro miglia dalla città di Benevento, nel paese di Pietra Alcina (Pietrelcina); la Boiarona, la strega Gioconna. Ma l’Arcistrega per eccellenza nella zona del Sannio, fu Bellezza Orsini, processata dal Santo Uffizio di Roma nel 1540, la quale aveva insegnato, alle sue allieve predilette, la famosa formula per volare  e la composizione dell’unguento magico da spalmarsi addosso per tale scopo. Bellezza Orsini  era maestra nell’arte di combinare le erbe per guarire i malanni, ma in seguito ad una serie di denunce, fu arrestata, rinchiusa a Fiano e torturata finchè non confessò di essere stata più volte al Noce in compagnia di altre Arcistreghe.

In ogni paesino del Sannio Beneventano, esistono molte storie, spesso simili, riguardanti le  Janare: ogni paesino ha la sua strega e le differenze riguardano particolari come il dialetto e le culture locali. Uno di questi paesini è San Lupo, situato su una collina rocciosa e con poco più di 800 abitanti. San Lupo è un vortice di leggende magiche e affascinanti. Un alone di mistero circonda questo paese che, risalente al Medioevo, nacque proprio presso un torrente. Si narra che sotto una roccia, dominante il corso d’acqua, si celasse un accesso agli Inferi, dove il diavolo in persona si mostrava alle sue adoratrici, le Janare appunto. Costoro erano donne del luogo che si tramutavano in aria e, volando, entravano nelle case dei sanlupesi per compiere i loro malefici.
Ancora oggi, per rivivere la leggenda, l’appuntamento è con la “Festa delle Janare”, il 24 giugno, notte di san Giovanni.

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